Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

Indubbiamente, il “Presidente del Consiglio nostro malgrado”, già “Campione del Marketing di se stesso”, noto all’anagrafe come Matteo Renzi, col suo tentativo di sfasciare la Costituzione è riuscito laddove altri suoi predecessori si sono fermati: spaccare irrimediabilmente l’Italia tra “pro” e “contro”. Con saccente altezzosità, boria e presunzione, personalizzando prima il Referendum e tentando poi di rimangiarsi ogni dichiarazione di auto-dimissionamento in caso di sconfitta nell’urna, ha fatto più danni all’Italia degli oltre vent’anni di Berlusconismo e di anti-Berlusconismo, l’un contro l’altro armati. Consci che non basteranno ago e filo per ricomporre le lacerazioni create tra la gente, non resta che agevolarne l’uscita da Palazzo Chigi, scegliendo di votare NO al quesito referendario sulle pasticciate Riforme delegategli dal “Re senza regno” che porta il nome di Giorgio Napolitano. “Stringiamoci a Corte”: salviamo la Costituzione e impediamogli di mettere a rischio la Democrazia per gli anni a venire. 

“Nella preparazione della Costituzione il Governo non ha alcuna ingerenza: può esercitare per delega il potere legislativo ordinario, ma nel campo del potere costituente non può avere alcuna iniziativa. Neanche preparatoria (…) Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti. Estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana (…) Se si affida al Governo o ad una commissione di tecnici non facenti parte dell’assemblea la preparazione del piano, la sovranità popolare viene menomata (…) Trovare il punto d’incontro e di equilibrio tra le varie tendenze politiche (…) Bisogna non dimenticare mai, per intendere esattamente come nasce la Costituzione italiana, questa preoccupazione del futuro che ha inspirato più o meno consapevolmente, è spesso in sensi diametralmente opposti, i suoi compilatori. In molti articoli, invece che la registrazione di una realtà giuridica già compiuta, si troveranno consacrati timori o speranze di ciò che potrà compiersi in un futuro prossimo o remoto; molte disposizioni, per essere intese esattamente, dovranno essere lette controluce, per scoprire i propositi che vi son sottintesi: il timore che il partito avversario riesca a prevalere e il rimedio predisposto per impedirgli di abusare di questa prevalenza; l’espediente di nascondere in una formula apparentemente innocua l’arma che domani potrà dar vittoria decisiva in una lotta elettorale o addirittura in una guerra civile”. (Piero Calamandrei)

Incipit. La virtù sta anche nel non dare per scontata la sconfitta, anche quando le forze schierate siano soverchianti, a favore dell’avversario. Dopo mesi di riflessioni, ragionamenti e discussioni sul Referendum, ecco dunque approssimarsi il 4 Dicembre. Una data che mai pareva arrivare, a causa dei calcolati rinvii del Governo, impegnato nell’opera propagandistica in favore del suo dannoso, o meglio devastante, progetto di riforma della Costituzione Repubblicana.

Articolo dopo articolo, sono pronto a lasciare la penna per la matita copiativa. Pronto per dire finalmente “NO” perché questo è quanto impone la mia Dignità di cittadino-elettore, prima ancora che la Ragione. In bilico tra quel che nonostante tutto è e quello che, Dio non voglia, potrebbe essere, agli stravolgimenti pretesi da Matteo Renzi e Giorgio Napolitano rispondo con la saggezza di Nilde Iotti: “Questa Repubblica si può salvare. Ma, per questo, deve diventare la Repubblica della Costituzione”.

In principio fu il Porcellum. Se non fosse che in Italia la memoria storica sia cosa per pochi eroi indefessi e che le verità si riscrivano nel tempo, a favore e di questi o a vantaggio di quegli, comunque assurti al Potere, parrebbe una cautela eccessiva, financo esagerata, invece… Invece è bene rammentare, ancora una volta, il “principio del male”: la legge elettorale incostituzionale da cui ha avuto origine l’attuale Parlamento.

A dispetto di quanto vadano ripetendo i “negazionisti interessati”, tutti schierati, chissà perché, nelle forze di Governo, il fatto che il 4 Dicembre 2013 la Consulta abbia dichiarato incostituzionale la legge n. 270/2005, nota come “Porcellum”, riguardo all’assegnazione dei premi di maggioranza e all’impossibilità per l’elettore di fornire una preferenza (violati in un solo colpo, il principio della Sovranità Popolare sancito dall’articolo 1 e quello di Eguaglianza del Voto, sancito dall’articolo 48, c. 2, ndr) ha reso illegittimo l’attuale Parlamento, di fatto e di Diritto. Come ho già avuto modo di affermare, in considerazione del concetto di nullità di un atto giuridico, la decisione della Corte Costituzionale avrebbe dovuto portare alla “dissolvenza” di Camere e la “restaurazione” del precedente status quo, in attesa di una nuova tornata elettorale.

Ovviamente, la necessità di garantire la “Continuità dello Stato” e di evitare un’impensabile implosione dell’Ordinamento, ha comportato, proprio in base alla decisione della Consulta, la temporanea legittimazione del Parlamento. Una legittimazione valida giusto il tempo necessario per indire nuove Elezioni e per convertire eventuali Decreti Legge in scadenza. Fatti due conti, circa 3 mesi di vita. Purtroppo, sappiamo com’è andata…

Per l’esagerata intromissione dell’ex Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, quello stesso Parlamento ha originato due Esecutivi a guida PD, ha architettato un folle “attentato” alla Prima Fonte del Diritto e ha partorito una nuova legge elettorale, l’Italicum, che, riproponendo i capi-lista bloccati a candidatura multipla e un premio di maggioranza truffaldino, dovrà essere dichiarata incostituzionale al pari della precedente! Sempre che, naturalmente, la Consulta non si prenda qualche altro anno di tempo per compiere il proprio dovere…

Fabrizio Cicchitto, Denis Verdini e Angelino Alfano. Se costoro rappresentano il "nuovo che avanza", promotore del taglia e cuci della Sacra Carta, abbiamo almeno altri tre motivi validi per dire NO.

Presi “non a caso”: Fabrizio Cicchitto, Denis Verdini e Angelino Alfano. Se costoro rappresentano il “nuovo che avanza”; se anche a loro si deve l’opera di “taglia e cuci” della Sacra Carta, ecco serviti almeno altri tre motivi validi per votare “NO”.

L’oscurantismo in luogo della chiarezza. 47 articoli. Tornando al famigerato progetto di riforma che porta il nome di Maria Elena Boschi, la ragione per la quale dico NO è tanto semplice quanto evidente. La Costituzione, essendo la Prima legge dello Stato, da cui discende il “tutto” del nostro Ordinamento, che si tratti della definizione delle garanzie poste a tutela dei cittadini contro i sempre possibili “abusi” del Potere; della determinazione degli Organi e delle Funzioni; del componimento istituzionale e via dicendo, deve giocoforza essere mantenuta entro il sentiero della chiarezza e della facile comprensione.

Non bisogna essere giuristi per cogliere la potenza dell’attuale Carta. Bisognerà avere una laurea in giurisprudenza o una profonda passione per il Diritto Costituzionale, qualora dovesse essere adottata la versione “peggiorata e scorretta” raccapezzata da Renzi e Verdini, col beneplacito di Napolitano, in cui 47 articoli sono praticamente trasformati in poemi, quando va bene, o in veri e propri geroglifici nel peggiore dei casi.

La Chimera della Governabilità. Si sproloquia fin troppo sul fatto che il Bicameralismo Perfetto rappresenterebbe “il” problema alla base delle lungaggini legislative. Eppure… Eppure, allorché si trattò d’introdurre il pareggio di bilancio nella Costituzione (Art.81) – modifica perorata dal Governo Monti sotto la spinta dell’Europa e mantenuta nel testo Verdini-Boschi-Renzi-Napolitano – stabilendo che le politiche di sostegno della domanda attraverso l’aumento della spesa pubblica, anche in Recessione, di lì a poco sarebbero diventate “illecite”, non vi furono problemi, né in fase di discussione, né in quella di approvazione in doppia lettura.

E non vi furono problemi di “lentezza legislativa” nemmeno quando si trattò di “aggredire” il Mercato del Lavoro, con una normativa reazionaria racchiusa nella puerile esoticità del nome che porta: “Jobs Act”… O di legiferare in materia di salvataggio di questa o quella Banca “di famiglia”, parenti ed affini… Insomma, è evidente che quando vi sia in gioco l’interesse di qualche potentato economico, o quando ci si debba approfittare delle persone “normali”, non esista alcun freno alla produzione normativa. Soltanto quando ci si trovi a ragionare su una Legge che possa minimamente favorire le Comunità, le “concessioni” al dibattito assicurate dai Regolamenti Parlamentari si perdono nella giungla degli interessi che legano politicanti, lobbysti e portaborse. 

Sarà forse un caso, ma la Governabilità tanto sbandierata non è quella che fa il bene del popolo, ma quella che consente di fare e di disfare; quella dell’uomo solo al comando. Quella, per intenderci, che sul piano interno renderebbe ancor più facili le scelte assolutiste in tema di Scuola, Lavoro e Pensioni e che, sul piano internazionale, consentirebbe la realizzazione di un Governo decisionista e garzone, ancor più prostrato ai dettami del potere extra-territoriale.

Non sarà sfuggito, alle persone più attente, l’entusiasmo di Barack Obama verso Matteo Renzi e il “suo” Referendum e ancor prima, quello dell’Ambasciatore Americano a Roma, John Phillips… Quando si tratterà di schierare le truppe, in difesa dell’interesse geopolitico a stelle e strisce, sarà un gioco da ragazzi passar sopra a un Parlamento “zerbino”. Né saranno sfuggite le dichiarazioni a favore di banche d’affari e agenzie di rating, ovvero del sistema canceroso alla base della Crisi Finanziaria del 2008, da cui derivò la Crisi Economica che tuttora ci attanaglia… Né, da ultimo, sarà sfuggita il gaudente endorsement di Confindustria, ovvero di quel conglomerato di contro-potere imprenditoriale che tanto male, negli anni, ha saputo e voluto fare ai lavoratori. 

Il ridicolo Risparmio di Spesa. Il buon padre di famiglia deve saper far quadrare i conti. E ovviamente, chi sieda a Capo del Governo deve saper fare altrettanto, ma all’ennesima potenza… Per un Paese in Default “de facto” come il nostro, è doveroso tenere in ordine il Bilancio e ridurre il Debito. Pertanto, ridurre i costi della Politica è un mezzo utile e necessario, sebbene non risolutivo. A giustificazione del suo piano di affossamento della Costituzione Repubblicana, Matteo Renzi favoleggia da tempo sui circa 500 milioni di risparmio annuo, eppure, il documento redatto dalla Ragioneria dello Stato certifica che l’antidemocratico “scippo” del Senato a spese dei cittadini, il risparmio sarebbe di circa 49 milioni all’anno. Al riguardo, non si capisce perché mai risuoni un assordante silenzio del Governo, in merito all’immane differenza delle cifre in questione. 

Il ridimensionamento della Democrazia e della Sovranità popolare e l‘oltraggiosa estensione dell’immunità parlamentare, in conseguenza di un “Senato di portaborse”. Posto che trovi assurda e vergognosa la proposta di triplicare il numero di firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare (art.71) e la facoltà concessa all’Esecutivo di chiedere al Parlamento una corsia preferenziale per l’approvazione di un disegno di legge essenziale per l’attuazione del proprio programma di Governo (art. 72), il problema è davvero il Senato? Il Bicameralismo perfetto è un’aberrazione, lasciata in dote da un passato troppo lontano? Bene. Tanto varrebbe allora, eliminare la “Camera Alta” e impigliarsi nella rete, altrettanto pericolosa, del Monocameralismo puro.

Al di là delle provocazioni, è indubbio che la scelta di quest’Esecutivo di privare i cittadini del diritto di voto dei Senatori, rappresenti un danno irrimediabile per chi, come me, ponga i principii democratici innanzi ad ogni altro. Se la Partecipazione è l’Alfa della Politica, la Responsabilizzazione dell’individuo ne è l’Omega. Pertanto, nell’attuale forma di Stato e di Governo, la volontà di cancellare l’elettività del seggio senatoriale è di per sé un indifendibile intendimento, da contrastare in difesa dell’essenza stessa del cittadino. 

Vogliono farci credere che sia stata creata una Camera delle Regioni, sul modello del Bundesrat Germanico, ma ciò, a ben guardare, rappresenta la cosa più lontana dalla verità. E’ noto infatti che nel Bundesrat i governi dei Lander partecipino in modo diretto ai processi decisionali grazie a propri rappresentanti sottoposti ad una “spada di Damocle” chiamata vincolo di mandato. Come dire: ad essi non è concesso di schierarsi su posizioni diverse da quelle espresse dal governo del Lander di provenienza, pena la loro ovvia rimozione dall’incarico (eventualità che nell’inquadrata logica Tedesca è tutt’altro che probabile, ndr).

Nel “Senato 2.0” di stampo Renziano, ogni Regione invierebbe dei consiglieri regionali e un sindaco, non tanto e non soltanto legati agli interessi del proprio territorio, quanto e soprattutto, prostrati al volere del partito di provenienza, con la totale libertà di voto. Sotterfugi e inciuci non solo non verrebbero meno, ma diverrebbero ancor più la regola. Senza contare che l’estensione dell’Immunità Parlamentare ad amministratori locali che la cronaca giudiziaria riconosce essere sovente corrotti e corruttori, fautori di malversazione e “pubblici inganni” renderebbe ancor più facile coprire gli abusi con un salvacondotto istituzionale che già oggi si fa fatica a condividere. E’ sufficiente ipotizzare un caso tanto semplice, quanto possibile: due Sindaci dediti al ladrocinio, di cui uno Senatore della Repubblica. In un’ipotetica indagine della Magistratura, quello più “sfortunato” potrebbe finire agli arresti domiciliari, mentre quello “privilegiato” da uno scranno a Palazzo Madama potrebbe tranquillamente opporre l’immunità ai giudici…

L’eliminazione del CNEL e la formale cancellazione delle Province. Partiamo dal principio che il CNEL fu ideato come fondamentale organo consultivo per le attività di programmazione economica nazionale. Il fatto che nel tempo sia diventato un costoso carrozzone, più facile da cancellare che da riformare, è dovuto al sempiterno stampo pre-elettorale delle politiche governative. Come dire: la scelta di “nessuna programmazione pluriennale”, sostituita da un vivacchiare annuale fatto di leggi di bilanci e “leggi-macia” ha svuotato il CNEL di ogni significato che non fosse quello di “poltronificio” tra tanti. Ciò non toglie che sia errato ritenere che lo Stato debba rinunciare a programmare l’attività economica, astenendosi dall’intervenire nella “gestione” e nell’indirizzo delle dinamiche legate all’economia di mercato. Detto ciò, per abolirlo non occorre altro che una legge costituzionale ad hoc e non serve certo sbandierarlo come motivo valido per accettare un’inaccettabile devastazione della Costituzione Repubblicana vigente.

Discorso analogo vale per quel che resta delle Province. La loro formale cancellazione dalla Sacra Carta, atto che darebbe legale valore alla loro eliminazione, allo stato neanche troppo sostanziale, può avvenire con legge costituzionale specifica, senza dare il via libera allo stravolgimento dell’intera intelaiatura dell’attuale Ordinamento.

Se la “sentenza di morte” del CNEL sembrerebbe garantire meno di nove milioni all’anno, quella delle Province, unitamente alla limitazione degli emolumenti per i consiglieri regionali, non dà cifre quantificabili. Anche qui, a fronte delle cifre della Ragioneria dello Stato, si attende che Matteo Renzi & Co. “battano un colpo”…

Il Referendum Propositivo e d’indirizzo. Neanche la tanto osannata introduzione del Referendum propositivo e di quello d’indirizzo, è, ai miei occhi, una ragione valida per accettare il progetto governativo di riforma. Specie quando si consideri che la loro realizzazione sia concretamente rinviata a norme future. La solita nuvola di chiacchiere. Aria fritta, anzichenò! Anche in questo caso, è inutile dirlo, per ridisegnare l’istituto referendario, una legge costituzionale di due righe sarebbe sufficiente. Evitando con ciò, lo scempio di tutto il resto.  

La revisione del Titolo V. Forse non tutti lo ricordano, ma se oggi ci troviamo a parlare nuovamente del Titolo V, è perché nel 2001 un Centro-Sinistra improvvisatosi federalista – spaventato com’era dall’impetuoso spirare del “vento del Nord” che gonfiava le vele dell’Auto-derminazione dei popoli e della Secessione – decise di fare a modo suo, incurante delle proteste e delle proposte dell’Opposizione. Dimostrazione che le cose fatte di fretta e senza cognizione causino disastri. E ovviamente, con l’improvvisazione Renziana rischiamo di cadere dalla padella alla brace.

Pur essendo necessario rivedere la ripartizione del Potere tra Amministrazioni Statali, non è affatto saggio riformulare la potestà legislativa tirando righe qua e là, ritornando, ad esempio, al principio dell’interesse nazionale,  mascherato da “Clausola di Supremazia” (art.117), in base al quale, su proposta del governo, la legge dello Stato potrebbe intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva (su quella Regionale, ndr) quando lo richiedesse la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica. 

Insomma, con la scusa dell’interesse nazionale sarebbe possibile imporre senza rischio di conflitto davanti alla Consulta, politiche, opere e progetti gravosi per gli enti locali e le comunità, su cui ricadrebbero le conseguenze economiche, ambientali e sanitarie. Niente più tavoli di discussione, tanto per richiamare degli esempi eclatanti, su TAV, TAP e MUOS, né su esplorazioni minerarie, trivellazioni petrolifere, inceneritori, discariche, depositi nucleari…

Maria Elena Boschi e Giorgio Napolitano, ovvero il braccio e la mente del tentativo di radere al suolo l'Ordinamento Statuale nato con la Costituzione Repubblicana.

Maria Elena Boschi e Giorgio Napolitano, ovvero il braccio e la mente del tentativo di radere al suolo l’Ordinamento Statuale nato con la Costituzione Repubblicana. A differenza degli oscuri intendimenti di taluni, non occorrono sotterfugi per dire chiaramente, liberamente e coscienziosamente: “NO”.

La ricattabilità del Capo dello Stato, “arbitro non più arbitro” dell’Ordinamento Statuale. Nonostante l’era Napolitano mi induca a ritenere il contrario (e sebbene io abbia già avuto dei seri dubbi sia ai tempi di Cossiga sia ai tempi di Scalfaro poi, ndr), continuo a vedere nell’Inquilino del Quirinale, un baluardo posto a difesa della Repubblica. Proprio per questo, la consapevolezza che una combinazione tra Italicum (che, causa abnorme premio, garantisce 340 seggi al partito di maggioranza relativa) e sistema Bicamerale differenziato (con un Senato “ammaestrato”, ndr) possa intaccare tale figura di garanzia, rafforza la mia decisione di dire NO.

E’ cosa nota, che nel caso in cui passasse la pseudo-riforma Renziana, per eleggere il successore di Sergio Mattarella, a fronte 732 grandi elettori (numero comprendenti i 630 deputati, i 100 senatori e i due ex-Capi dello Stato, ndr), occorrerebbero i due terzi dei voti nei primi tre scrutini (come capita oggi, ndr). Dal quarto al sesto scrutinio il quorum scenderebbe ai tre quinti dei componenti dell’Assemblea in seduta comune. Lo scandalo giuridico, tuttavia, si paleserebbe col settimo scrutinio, quando sarebbero sufficienti i tre quinti dei votanti

L’unico limite a tale “discesa verso gli Inferi” è dato dall’art. 64 della Costituzione, che impone il numero legale affinché le deliberazioni delle Camere siano valide. Pertanto, il quorum necessario all’elezione del Presidente richiederebbe la presenza di 367 elettori e soltanto 221 voti per essere nominato. Numeri alla mano, potrebbe capitare che la sola Camera dei Deputati (il cui Regolamento si applica in Seduta Comune, ndr), composta dai soli parlamentari del Partito di Maggioranza relativa, cui una legge incostituzionale abbia assegnato i famigerati 340 seggi, elegga da sola il Capo dello Stato.

Per comprendere a fondo la figura di “burattino” cui sarebbe ridotto il Presidente, è necessario prendere in esame anche i dettami dell’art. 90 in materia di messa in stato d’accusa (cosiddetto “Impeachment”, ndr).

In base alla legge, il Capo dello Stato può essere accusato di Altro Tradimento o di Attentato alla Costituzione, dalla maggioranza dei parlamentari riuniti in seduta comune. Se la Riforma Boschi non dovesse essere respinta da un corpo elettorale che si spera quantomai illuminato, la Prima Carica dello Stato; il Presidente del CSM e del Consiglio Supremo di Difesa; il Comandate in capo delle Forze Armate cui è delegato il  compito di dichiarare Guerra; l’unico soggetto istituzionale dotato del potere di sciogliere le Camere; oltre ad essere potenzialmente eletto dai parlamentari di un solo partito, col numero più esiguo immaginabile di voti, potrebbe essere “dismesso” da  quello stesso partito. Partito da cui proverrebbe il Presidente del Consiglio da lui incaricato di “gestire” il Paese. Una follia!

Il cerchio si chiude… E cala il sipario sul “circo” politico-mediatico. La Costituzione dei Padri, nata sulle macerie di una guerra e sul sangue della dittatura, non può essere scambiata con quella del “Marketing e della Ruota della Fortuna”… Se è vero che sia pur necessario aggiornare le prescrizioni costituzionali ai vizi e alle virtù dei nostri giorni, è parimenti vero che la “base del Diritto e dei Diritti” non sia uno Statuto di parte e di Partito e che pertanto non possa essere sacrificata sull’altare del “meglio poco che niente, perché ci sarà modo e tempo per degli aggiustamenti”… Perché se al meglio si deve tendere sempre, al peggio non v’è mai fine.

In nessun caso si può e si deve cedere all’accettazione dell’inaccettabile. Prima ancora che un atto di fede e di dignità, votare NO è un dovere civico. Prima ancora che una dimostrazione di saggezza, votare NO è un segno di lungimiranza. Citando Cesare Cantù: “La miglior Costituzione è quella meglio atta a mettere in luce la Verità sopra ciascun oggetto, e far giungere l’autorità nelle mani di quelli che la sapranno meglio esercitare; non Tirannia, non Anarchia”…

Votare NO, per salvare la Democrazia, noi stessi e il futuro dell’Italia, preservando la Sacra Carta e respingendo il tentativo di farne carta straccia. Votare NO, per impedire che Denis Verdini sia ricordato come un riformatore. Votare NO, per impedire che Boschi faccia rima con Costituzione, anziché con Banche… Votare NO, per mettere una pietra tombale sopra all’era delle imposizioni, dei richiami e degli strali di Giorgio Napolitano. Votare NO, per ridare senso alla Politica come atto di condivisione e compromesso in difesa della comunanza dei valori.  

Votare NO, infine, anche per vedere se colui che è solito affermare “manteniamo le promesse”, sarà davvero in grado, in tutta onestà, di fare armi e bagagli e di traslocare da Palazzo Chigi. Perché se un Referendum può e deve avere anche un valore politico, questo, allora, è il padre di tutti i Referendum. Il vero terremoto è alle porte… Viva l’Italia!

D.V.