1 Maggio 1994 – 1 Maggio 2019. Venticinque anni lunghi e tristi, senza Ayrton Senna.

“La cosa più importante è essere te stesso, senza permettere a nessuno di ostacolarti, senza essere diverso perché qualcuno vuole che tu sia diverso. Devi essere te stesso. Molte volte farai degli errori a causa della tua personalità, del carattere o delle interferenze che puoi trovare lungo il cammino. Ma solo così puoi imparare: dai tuoi errori. E’ questa la cosa principale: utilizzare gli errori per imparare. Io credo nell’abilità di concentrarsi profondamente, in modo da rendere e progredire ancora di più (…) Ho sempre avuto un contatto speciale con Dio. Lui mi ha sempre dato molto. È stato a Montecarlo, che ho avuto la prima esperienza diretta con Dio. È stata una cosa molto importante. A partire da questo primo contatto io sono riuscito a comprendere tutta una serie di cose e di fatti che mi erano toccati precedentemente e i cui contorni mi erano sfuggiti. È tutto molto soggettivo, nel campo della fede, e può anche essere discutibile. Io dico che ho sempre ottenuto tutto ciò che ho chiesto (…) Se un giorno dovessi avere un incidente che mi dovesse costare la vita vorrei che fosse sul colpo. Non vorrei passare ore a soffrire in ospedale o passare il resto della vita in una sedia a rotelle. Io voglio vivere intensamente perché io sono una persona intensa”.

Mi pare ieri, quel maledetto giorno di venticinque anni fa, sul circuito di Imola… Il weekend di morte cominciato con l’incidente di Roland Ratzenberger; i dubbi e le preoccupazioni degli altri piloti sul se correre o meno e la discutibile decisione di andare avanti, perché “The show must go on”. 

Avevo “conquistato” la patente di guida soltanto da qualche mese e non nego che, come tutti gli adolescenti di questo mondo, la prudenza a bordo della macchina del babbo presa in prestito, o meglio pretesa per sua gentile concessione, sfinito da un misto di insistenze e preghiere, non è che fosse il primo dei miei pensieri… Già. Come tutti gli adolescenti al volante, mi sentivo un po’ un Prost, un po’ Mansell, un po’ Patrese, ma soprattutto un po’ Senna…

Non erano ancora i tempi del calcolatore Schumacher, capace, di lì a poco, di inanellare vittorie a ripetizione, freddamente e soltanto come una mente Teutonica avrebbe potuto fare. Erano ancora, seppure per poco, quelli tutta anima e cuore di un eroe Brasiliano predestinato. 

Quella Domenica del 1 Maggio, ore 14:00, motori accesi, gomme calde e mani sul volante: Pronti, partenza, via! Pochi giri tiratissimi e poi, alla settima tornata, lo schianto di Ayrton Senna, alla curva del Tamburello. Terribile, angosciante. La sua Williams-Renault accartocciata e irriconoscibile, con all’interno lui, o peggio, un corpo immobile, incosciente ed esanime. I telecronisti RAI, Mario Poltronieri ed Ezio Zermiani, impreparati all’evento e certamente non consci della sua gravità; la folla ammutolita eppur eccitata dal crash, perché anche questo, ossia la possibilità del vedere un’auto sbandare e andare fuori pista, “era” il bello della F1.

Ayrton Senna, col suo inconfondibile casco dalla livrea Giallo-Verde, durante le prove di un GP di Formula 1.

Io, come chiunque altro, davanti al tubo catodico, attaccato alla poltrona col cuore impazzito e l’adrenalina a mille… Ancora avevo nelle orecchie le urla di gioia di qualche anno prima, quando il campione riuscì a vincere, col cambio bloccato, il GP del suo Paese, mentre adesso immaginavo l’urlo strozzato in gola, in una frazione di secondo, rimasto silente in quei pochi metri tra l’asfalto e il muro di cemento a bordo pista.

E poi ecco spuntare gli ispettori di gara, i mezzi di soccorso e i medici. E poi, la tracheotomia in diretta televisiva mondiale, l’elicottero che arriva veloce, atterra e staziona il tempo necessario ad imbarcare il paziente famoso, che mai si sarebbe pensato di finire per aver a bordo… Il volo verso l’ospedale, l’attesa per il responso de primario investito di assistere il fenomeno del circus, il suo crescente pessimismo, la mancanza di ogni speranza, la morte… E ancora: incredulità, tristezza, lacrime per il campione saltato su un’altra vettura, senza sponsor, che saliva lenta verso il Paradiso o chi sa dove. 

Ayrton Senna Da Silva, fu sportivo di talento e uomo di carattere. Eroe del proprio Paese, diventato leggenda troppo presto e troppo giovane.

Questo è il mio ricordo di Ayrton. Il ricordo, diventato mito, di una leggenda dell’automobilismo sportivo. Il ricordo di un ragazzo con tanti sogni, di uno sportivo vero, di un uomo di fede vicino agli ultimi lontano dalle telecamere, un eroico virtuoso del volante, che, ogniqualvolta mi capiti di rivederlo in foto o in TV, in uno dei tanti filmati d’epoca, mi lascia ancora a bocca aperta, silenzioso e non rassegnato ai tanti perché di oggi e di allora. Mentre gli occhi si fanno lucidi di commozione…

D.V.

P.S.: Tutto quello che venne poi, le parole, le polemiche, le accuse, le inchieste giudiziarie, i risvolti penali, la “rivoluzione postuma” in quanto a Sicurezza delle gare di Formula Uno, lasciarono soltanto ancor più amaro in bocca ai testimoni di quella tragedia umana e sportiva… Con l’ovvia consapevolezza di aver assistito alla fine di un’epoca, alla fine dell’età romantica delle corse e al principiare di qualcos’altro. Da lì in avanti, nulla sarebbe stato come prima.