Il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero e il Presidente del Consiglio, Mario Monti, durante un recente incontro con i giornalisti.

“Ferme restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di 15 prestatori di lavoro o più di 5 se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresí ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro. Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie. Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subìto dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno cosí come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva. Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all’ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore”. Testo del “fu” articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, inserito nel Titolo Secondo (Della libertà sindacale – Reintegrazione nel posto di lavoro).

Incipit: “Come schiavi lavorarono gli animali per tutto quell’intero anno. Ma nel loro lavoro erano felici: non si lamentavano né di sforzi né di sacrifici, ben sapendo che quanto facevano era fatto a loro beneficio e a beneficio di quelli della loro specie che sarebbero venuti dopo di loro e non per l’uomo infingardo e ladro. (George Orwell)

Lavoro, questo (sempre più) sconosciuto…

“L’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro…”. Mah! Che dire? Dubbiosi che l’Italia sia ancora una Repubblica, di certo possiamo affermare che non sia fondata sul Lavoro. Detto ciò, potremmo discutere per ore attorno ai dettami costituzionali, con particolare riguardo all’art.1 della Sacra Carta, con la certezza di non riuscire a “cavare il ragno da un buco”, finendo per azzuffarci verbalmente, tra chi veda in esso un obbligo morale, prima ancora che legale e chi invece, veda in esso solo una sterile previsione rimasta incompiuta, un paletto da tirar via, sia nella forma, sia nella sostanza, in uno dei tanti e troppi pasticciati ed inconcludenti progetti di Riforma della Costituzione, che ci continuano a propinare a Destra e a Manca.

Chiusa la premessa, ancor prima di averla aperta, ora come ora la questione è un’altra: il nulla; la terra bruciata; il “deserto lavorativo” che ci sta seppellendo giorno dopo giorno, come fossimo vittime di una gigantesca tempesta di sabbia.

Avvezzi, ma non domi, ad ascoltare le corbellerie provenienti dal Palazzo, proferite da Politicanti da strapazzo persi tra “Primarie” interne e “clientelismo” pre-elettorale, agli Italiani non resta che piegare la schiena sotto ai colpi dei “Tecnocrati” al Potere, che, tra una conferenza e un’intervista, hanno addirittura il tempo di decidere nuovi tagli ed ulteriori imposte, anziché reindirizzare le spese verso finalità più giuste, eque, ed opportune, come la Salute, l’Istruzione e lo Sviluppo. Qualche proposta? Certo! Tassare massicciamente i capitali individuati e sanati con lo Scudo Fiscale, trovare un accordo con la Svizzera sui “fondi espatriati”, tagliare le spese militari (F-35 e privilegi degli Alti Comandi in primis) e  introdurre un’imposta patrimoniale. Il tutto, nella fremente attesa che al di là delle fumose promesse, la Tobin Tax diventi realtà…

Frattanto, le aziende continuano a delocalizzare oltre-confine – dove dicono non facciano tanto gli schizzinosi in materia di tutela, non accampino troppi diritti e riescano a campare con pochi spiccioli (Mr. Marchionne docet) – facendo dell’Italia una lunga distesa di “archeologia industriale”, persa tra capannoni abbandonati, macchinari in disuso, territori devastati e fogne di rifiuti a cielo aperto, ovviamente da bonificare a spese della collettività. Nessuno alza un dito, i cancelli si chiudono e si allungano le file dei senza-futuro: ex-minatori; ex-metalmeccanici; ex-chimici; ecc. ecc.

Ma dopo tutto perché stupirsi, se il Manager di turno finisca per farsi un baffo di un Governo di Banchieri e Finanzieri, che dell’incapacità ad azzeccare qualunque soluzione, pare aver fatto un vanto? Un esempio su tutti: l’infausta sorte toccata alle diverse migliaia di persone, rimaste appese tra uno ieri “attivo” e un domani da pensionati, in un “esodo” che di biblico ha ben poco, se non un reale richiamo al “limbo” dantesco. Una situazione che in base alla “Luna” dell’Esecutivo, pare trovare a giorni alterni, una soluzione o un ulteriore intoppo. Anime ignave e diseredate dal destinto segnato, cui di quando in quando, tra chiacchiere e promesse, pare aprirsi la Porta del Paradiso.

E mentre ancora si ode vividamente l’eco per la discutibile riforma dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, la Politica già lavora sotto banco, per rivedere e modificare la “frettolosa” Legge Fornero. Già, perché scegliendo di prendere di petto il falso problema di quel benemerito Statuto – additato come causa di ogni male dell’odierno “Mercato del Lavoro” e dunque da svuotare di ogni significato – nel nome della Produttività e della tutela delle Aziende contro i (presunti) soprusi sindacali e della Magistratura, i “Tecnici” di Governo hanno scordato di mettere in campo qualche misura davvero concreta per evitare il tracollo dell’Occupazione “reale”, che ben oltre la fredda ed insulsa statistica, riguarda la vita delle persone.

Sarebbe troppo facile, tirare ancora una volta in ballo il nostro punto di vista, che vorrebbe il ritorno ad uno Stato “attore” dell’Economia e dell’Impresa in veste di “Padrone”, piuttosto che di semplice ed inconcludente burocrate.

Così come sarebbe troppo semplice ribadire l’importanza della creazione di un nuovo sistema partecipativo pubblico, sulla falsariga di quanto avvenne con l’IRI. Dopo tutto, per quanto le costrizioni di un’Unione Europa bacchettona e le prerogative in materia monetaria della BCE, siano un ostacolo notevole ad ogni azione arbitraria degli Stati Nazionali, è evidente che dall’attuale Economia “simil-post-bellica” non si possa uscire, se non rispondendo con un’azione diretta dal Vertice.

Tornando a noi, la ciliegina sulla torta è arrivata con la diffusione dei nuovi dati sulla disoccupazione giovanile, che descrivono una situazione sempre più allarmante e che fa come minimo rabbrividire: il 35% degli Italiani tra i 15 e i 24 anni è senza un impiego. Vi chiederete: “quali sono le ragioni di fondo che creano tante difficoltà alle nuove generazioni, le quali, terminati gli studi, si trovano a dover lottare per ottenere uno sbocco professionale, che garantisca loro una vita dignitosa, lontano da mamma e papà”? Beh, al di là delle odiose affermazioni attorno all’Italico “bamboccione” alla Padoa Schioppa, rinverdite dal “choosy” buttato sul piatto da Mrs. Fornero e senza considerare le acrobazie verbali sul posto fisso, o sul fatto che gli Italiani avrebbero vissuto per anni al di sopra delle loro possibilità, uscite dalla bocca del Presidente del Consiglio Mario Monti, la risposta non è poi così difficile.

Al di là della Crisi Economica, della fuga delle aziende (non solo Multinazionali) e del rifiuto di alcuni di mettersi in gioco e darsi da fare, è indubbio che la ragione principale sia da ricercarsi nelle Politiche dell’Istruzione fallaci e partigiane, volute negli ultimi quarant’anni da questo o quel Governo, per pura propaganda. In effetti, a causa loro, si è creato un abisso tra “cultura scolastica” e “sapere lavorativo”. E’ per questo che, a questo punto, fa davvero sorridere (amaramente), la proposta di un “pesante” ritorno all’apprendistato, avanzata dall’attuale Ministro del Lavoro. Una toppa cucita alla bene e meglio, che ad uno “sfruttamento di braccia” assommerebbe uno “sfruttamento dell’ignoranza”.

Mentre contiamo i giorni che ci separano da un attesissimo ritorno alle Urne, che ci consenta di riassaporare la Democrazia e di sbattere in faccia il nostro dissenso ad una classe dirigente decotta, una cosa è certa: tra diciotto mesi, il nostro tasso di disoccupazione, specie quello riguardante le nuove generazioni di (potenziali) lavoratori, non avrà nulla da invidiare a quello della Grecia e della Spagna di oggi. E allora si, che anziché chiedere un posto (con o senza raccomandazione), alla massa di ragazzi senza oggi, né domani, costretti ad elemosinare un proprio Diritto costituzionalmente garantito, non resterà che chieder di “pagare il conto”, Dio solo sa come, sia ai Politici, sia ai Tecnocrati, che dell’illusione “pro-attiva” e dell’inciucio sulla Legge Elettorale hanno fatto le proprie insulse bandiere.

“La Pantera siamo noi” si diceva quasi tre decenni or sono, nelle manifestazioni studentesche. Oggi, che quegli studenti sono lavoratori in bilico e “precari della vita”. Oggi, che i padri e le madri sono al fianco dei figli nella lotta per un comune domani, fatto di Equità e Giustizia sociale, è tempo che il “felino” torni in strada… E cominci a graffiare, anzi a mordere!

Labor omnia vincit.

D.V.