Silvio Berlusconi e Barack Obama a colloquio, durante il meeting internazionale di Deauville, dello scorso Maggio.

“Mentre quindi, l’allargamento delle funzioni di governo, richiesto dal compito di equilibrare l’una all’altro la propensione a consumare e l’incentivo ad investire, sarebbe sembrato ad un pubblicista del diciannovesimo secolo o ad un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni dell’individualismo, io lo difendo, al contrario, sia come l’unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa delle forme economiche esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell’iniziativa individuale. […] I sistemi moderni di stato autoritario sembrano risolvere il problema della disoccupazione a scapito dell’efficienza e della libertà. È certo che il mondo non tollererà ancora per molto tempo la disoccupazione che, salvo brevi intervalli di eccitazione, è associata – e a mio parere, inevitabilmente associata – con l’individualismo capitalista d’oggigiorno. Ma può essere possibile, mediante una corretta analisi del problema, guarire la malattia pur conservando l’efficienza e la libertà”. […] Gli Speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l’accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un Casinò, è probabile che le cose vadano male. Se alla Borsa si guarda come a una istituzione la cui funzione sociale appropriata è orientare i nuovi investimenti verso i canali più profittevoli in termini di rendimenti futuri, il successo conquistato da Wall Street non può proprio essere vantato tra gli straordinari trionfi di un capitalismo del laissez faire. Il che non dovrebbe meravigliare, se ho ragione quando sostengo che i migliori cervelli di Wall Street sono in verità orientati a tutt’altri obiettivi”. John Maynard Keynes

E davvero sbalorditivo, anzichenò! Se mi fermo a leggere e a rileggere i tre estratti del “pensiero Keynesiano” che ho scelto di regalarmi, come impagabile prefazione alle mie riflessioni, rimango profondamente turbato dal fatto di sapere, che l’uomo, l’Economista, lo “Storico”, il “Filosofo” e il “Politico” dalla cui penna scaturì cotanta saggezza, non sia più “tra noi” da oltre sessant’anni…

Per quanto l’esperienza dimostri che nel bene e nel male ogni ciclo finisca per ripetersi, magari sulla scia della stoltezza umana, è innegabile che le sue parole risuonino di sorprendente attualità, oltreché di salvifica Verità, al cospetto dell’odierna decadenza del Sistema Economico prevalente, soggiogato dalla sordida avarizia, dalla danarosa pigrizia e dallo sfacciato egoismo che hanno finito per cementare in uno squallido tutt’uno, Politici, Finanzieri e Capitani d’Industria, per la gioia e il ludibrio di una incommensurabile minoranza e per la rassegnazione e la miseria di un’impotente maggioranza.

E’ innegabile che innanzi all’implosione dell’Economia di Mercato, che per anni ha annebbiato la vista dei Governanti, con la falsa promessa, o meglio la sua pretesa, di render tutti ricchi, spingendo a vivere sopra le proprie possibilità, tanto i cittadini, quanto gli Stati Sovrani e mettendo di fatto un’ipoteca non riscattabile sul “Comune Futuro”, manchino quasi le parole…

Pare infatti che Keynes si sia “affacciato alla finestra” e preso semplicemente appunti, “fotografando” l’odierna realtà.

Le Nazioni sacrificate sull’altare del Capitalismo diseguale, ingiusto, iniquo e ovviamente, per niente solidale, hanno preso coscienza e dopo anni di silenti repressioni e sanguinose sopraffazioni – perpetrate da Autorità “amiche” dell’Occidente – hanno avviato un “processo di smarcamento”, con l’intenzione di garantirsi una vita meno “pidocchiosa” (la cosiddetta “Primavera Araba”, ad esempio, parla da sé)…

La “Crisi delle Crisi” provocata dalla “madre di tutte le Bolle” (nata e cresciuta a Wall Street, sull’onda dei celebri mutui “sub-prime”) è ben lungi dal dirsi conclusa, essendo giunta solo adesso in prossimità del proprio apice – dopo tre anni di chiacchiere, rassicurazioni e vane speranze – ed avendo in serbo un “gran botto”, ancora in “fase di carica”…

La Speculazione continua ad affossare le Borse, rapinando i risparmi e negando un “domani previdenziale” a milioni di persone, mentre si continua a discutere di una nuova, fallace Regolamentazione da implementare in un meccanismo che gira e rigira, sempre più a vuoto…

La tempesta finanziaria che continua imperterrita a chieder conto delle troppe manchevolezze della Politica, sta lì a dimostrarlo quotidianamente. Per rendere l’idea della gravità degli eventi che si susseguono, basterebbe pensare al fatto che un Organismo come la BCE – indipendente per Statuto dalla volubilità della Politica) abbia scelto di compiere un atto – che d’ora in poi non potrà non esser visto come un “ingombrante precedente” – come l’acquisto sul Mercato Finanziario, di Titoli di Stato emessi da Paesi aderenti all’Euro-zona, come la Spagna e soprattutto come la nostra “morente” Italia.

Comunque la si “preferisca” vedere, la situazione è indubbiamente grave. Stiamo sprofondando e c’è ancora chi guarda altrove, preferendo, ovviamente, non assumersi le proprie, riconosciute Responsabilità.

Il rischio di bancarotta non è più un rischio isolato in salsa sud-Americana, ma riguarda la Vecchia Europa e addirittura l’ormai ex “locomotiva del mondo”, gli Stati Uniti d’America!

In tutto ciò, senza citare i casi arci-noti di Grecia, Irlanda e Portogallo (con la Spagna prossima all’orizzonte), non posso soffermarmi sui punti in comune riguardanti Roma e Washington. Fatte le debite proporzioni, infatti, in entrambi i casi la “disfatta economica” s’innesta su una crisi politica profonda – cosa ovvia per il nostro Paese, ma alquanto rara oltre-oceano – nella quale, per ragioni diverse, la debolezza dell’Esecutivo rappresenta la “chiave di volta”.

Se da un lato Silvio Berlusconi è sempre più schiavo delle mai sopite velleità secessioniste della Lega Nord – oltreché delle proprie usuali “necessità giudiziarie” da soddisfare – dall’altro, Barack Obama è bersagliato in maniera crescente dalle pretese e dalla pretenziosità di un’Opposizione Repubblicana tornata a fare il “pieno di consensi” a causa di tante differenti ragioni (la voragine nel Bilancio Federale dovuta ai dieci anni di guerra “double-face” lasciati in eredità da George W. Bush; le conseguenze del “soft-landing” voluto dall’ex Presidente della FED, Alan Greenspan, artefice di una contraddittoria politica monetaria, nel passaggio dalla Presidenza di Bill Clinton a quella Bush; per non palare poi delle solite, immancabili, immarcescibili, insaziabili Lobbies…).

Allo stesso tempo, in ambo i casi si assiste alla difficoltà – o peggio, all’impossibilità – di agire sulla Spesa Pubblica in maniera proficua – come consiglierebbero i corretti, ma abusati criteri Keynesiani – per tentare di riavviare il motore spento dei Consumi e della Produzione Industriale e di arrestare nel contempo, lo tsunami della disoccupazione, che annichilisce una “Forza Lavoro” sempre più disperata e a mani vuote.

Detto ciò, va chiarito per inciso, che le differenze non si contino e che siano di certo prevalenti. Per restare alla cronaca recente, basterebbe rammentare la discussione “infinita” (ben inteso, per i canoni Americani) sull’innalzamento del “Debt Ceiling”, che ha impantanato per settimane il Congresso “a stelle e strisce”. Di certo appare un’insignificante bazzecola, nel confronto con lo spettacolo indecoroso che va avanti da anni tra i banchi del nostro Parlamento (esautorato dalle proprie prerogative, per colpa del decisionismo di un Governo “distratto” dalle “interessate” priorità del proprio “Dominus”…).

E nonostante tutto, mentre per il Presidente Statunitense vale ancora lo slogan “Yes, we can”, poiché egli rappresenta tuttora la speranza di un cambiamento “illuminato” in cui credere e per il quale, forse, l’America non è del tutto pronta, il nostro Presidente del Consiglio da troppo tempo rappresenta solo il “vecchio”, l’interesse particolare cui piegare quello generale… Lo stantio di una stagione politica perduta e che ha fatto perdere ad un’Italia “commissariata” da Bruxelles – per soddisfare una ferrea, ma giustificabile, volontà Franco-Teutonica – quel poco di credibilità che si era costruita in appena centocinquant’anni di Unità geografica e amministrativa…

In conclusione, mentre la Storia continua a riempire le proprie pagine, giorno dopo giorno e ora dopo ora, se mi guardo attorno, una sola inossidabile certezza mi accompagna: mentre Barack Obama può apparire come l’uomo giusto, al posto giusto, al momento sbagliato, Silvio Berlusconi è stato, è e sarà, sempre e comunque, l’uomo sbagliato, al posto sbagliato.

…Ahimé, miserabile, quanto vorrei aver torto! La fine indegna di una Patria gloriosa. (E qui un po’ d’invidia prende il sopravvento). 

D.V.