“Deve essere ricordato che nulla è più difficile da pianificare, più dubbio a succedere o più pericoloso da gestire che la creazione di un nuovo sistema. Per colui che lo propone ciò produce l’inimicizia di coloro i quali hanno profitto a preservare l’antico e soltanto tiepidi sostenitori in coloro che sarebbero avvantaggiati dal nuovo”. Niccolò Machiavelli

Con l’approssimarsi della scadenza delle “Midterm Elections” – che il prossimo 2 Novembre porterà al rinnovo di 1/3 del Senato (37 seggi su 100) e dell’intera Camera dei Rappresentanti (435 seggi), oltreché alla nomina di 37+2 Governatori – è sempre più probabile che l’elettorato “a stelle e strisce” sia pronto ad inviare un segnale fortemente critico, all’operato dell’Amministrazione Obama, voltando le spalle ai candidati del Partito Democratico e stravolgendo gli attuali equilibri del Congresso.

Un’eventualità affatto “campata in aria” che, giorno dopo giorno, pare destinata a diventare un’amara realtà, agli occhi del Presidente.

Frattanto, in attesa del responso ufficiale delle urne, i suoi lodevoli intenti riformatori risultano notevolmente frustrati, a dispetto dei sorrisi e delle parole di circostanza, che se da un lato mostrano fiducia ed ottimismo, dall’altro corroborano gli sprezzanti attacchi al vetriolo (indice di crescente insicurezza) rivolti agli avversari Repubblicani, dipinti come ciechi paladini del Conservatorismo, sempre pronti a sbarrargli la strada al grido: “No, we can’t”!

Lontani i tempi in cui “hope” e “change” apparivano come parole profetiche, l’attuale inquilino della Casa Bianca sembra attraversare un momento di notevole impopolarità tra i propri connazionali, per quanto altrove, in Europa soprattutto, gli si continui a riconoscere il piglio del Condottiero carismatico, pacifico ma rivoluzionario, pragmatico ma lungimirante e soprattuto pronto ad immolarsi per il bene di tutti. Cosa che, assennatamente, va palesemente al di là del vero.

Messa da parte l’aura messianica propria del “Salvatore”, che in tanti gli avevano attribuito – forse perché disorientati, dagli otto anni trascorsi a Washington da George W. Bush – gli ultimi sondaggi mostrano i dati dell’impressionante crollo di popolarità che ha investito Barack Obama, sceso attorno al 44% dei consensi. E sebbene la Storia dimostri che la Statistica prenda spesso degli abbagli, o che, addirittura, finisca per essere “manovrata” in ragione degli specifici interessi di chi ne finanzi le ricerche, è bene non sottovalutare i segnali del malcontento di un’intera Nazione.

Che abbia peccato d’inesperienza, o peggio di sufficienza, è indubbio che alcune questioni siano davvero “andate di traverso” al Presidente Statunitense. A due anni dalla nomina, perseverando nel tentativo di realizzare il proprio programma, egli si è alienato in maniera crescente le simpatie della gente, oltreché – ma ciò era prevedibile – quella di banchieri, finanzieri, “assicuratori”, “farmacisti” ed “armaioli”. E non da meno, in veste di “comandante in capo”, è probabile che abbia perso l’appoggio “morale” dei vertici del Pentagono, come dimostrato dalla vicenda che ha portato al “siluramento” di Stanley McChrystal, destituito dal comando delle truppe ISAF, di stanza in Afghanistan.

E’ di tutta evidenza, a dispetto delle migliori intenzioni e ben oltre le più ragionate aspirazioni, che dar concretezza alle promesse fatte nel corso di una campagna elettorale sia quantomai complicato, a causa del divenire degli eventi e del presentarsi d’imprevisti vari ed eventuali… Qualsivoglia uomo politico, nonché il più apprezzato degli Statisti, ne conosce le difficoltà: raggiungere i propri scopi nel migliore dei modi è impresa quasi impossibile, pertanto, ci si accontenta di “comporre in mosaico” un po’ alla buona, finendo per scontentare sia gli avversari, sia gli amici, finanche i propri elettori. Lo stesso Obama è destinato a non uscire immune da tale “tradizione”…

La parabola discendente di colui che appariva come l’uomo nuovo della Politica Americana, ha avuto inizio in conseguenza dell’approvazione “zoppa” della storica Riforma Sanitaria – attesa da decenni da buona parte della popolazione – che di fatto è rimasta “vittima” in una serie di compromessi di contorno, che ne hanno ridimensionato la portata. La nuova normativa meno rivoluzionaria del “dovuto”, ha comunque avuto un duplice effetto, ben prima di essere approvata: se da un lato ha scontentato la lobby delle Assicurazioni private, dall’altro ha deluso le aspettative di circa dieci milioni di persone, cui non è stato riconosciuto il diritto a ricevere la copertura medica di base, a causa di un accordo, raggiunto in extremis, che ha evitato la “rottura” tra Congressisti e Casa Bianca.

E visto che “tutti i nodi vengono al pettine”, non v’è dubbio che il Presidente stia pagando le scelte di Politica Economica effettuate, indirizzate a ricomporre i cocci dell’Economia, messa in ginocchio dalla crisi, partendo dal sostegno delle Istituzioni Finanziarie e lasciando in secondo piano le famiglie. Una decisione che, a fronte della perdurante Crisi Sistemica, non si è rivelata poi così azzeccata. Insomma, una nuova “Era di crescita e sviluppo”, che porti nuova occupazione e la ripresa dei consumi è tuttora lontana all’orizzonte. Qualora si consideri, che il suo Consigliere economico, Christina Romer, si sia dimesso all’inizio di Agosto – ufficialmente per riprendere la sua cattedra di Economia all’Università Californiana di Berkeley – si comprende che si stia cercando di correre ai ripari, prima che un repentino e sempre più probabile peggioramento della situazione Economica, allarghi la falla della “débâcle elettorale”.

Sempre in materia Economico-Finanziaria, occorrerà diverso tempo per dimostrare che il Riordino dei Mercati e della Finanza fortemente voluto da Obama – nel tentativo di ridimensionare le esose pretese e la ingorda pretenziosità dei predoni di Wall Street – dia dei risultati concreti, proficui e duraturi. Se infatti la salvaguardia dell’interesse dei risparmiatori è primaria e chiaramente dovuta – a fronte delle immani sofferenze patite per cause non imputabili loro – è parimenti importante che, a causa di nuove regole, cavilli e controlli, non si sia giunti ad “ingessare” il Sistema Economico Americano – e di riflesso, quello mondiale – già “segnato” nel profondo da alcuni interventi Governativi, tacciati di “Socialismo” dagli ideologi del Capitalismo “tutto tondo”.

Volgendo lo sguardo altrove, è indubbio che anche le vicende del Golfo del Messico, della BP, della Deepwater Horizon, abbiano lasciato un “conto aperto”, che verrà immancabilmente “saldato” sulla via che conduce dritti alle “Polling Stations”. Già perché, dopo tutto, è difficile che gli Americani rimasti colpiti, direttamente o indirettamente, dal disastro della piattaforma petrolifera offshore, dimentichino i tre mesi passati a sperare che una soluzione efficace fosse trovata e perdonino l’impreparazione dimostrata dal Governo Federale, nel gestire la situazione.

Analogamente, è più di un’ipotesi che il favore espresso da Barack Obama, verso la libertà di professare la fede Islamica negli States – proprio nei giorni in cui “ardono” le polemiche attorno al progetto di costruzione di una moschea a NY, nei pressi di Ground Zero – non abbia tirato acqua al mulino della causa Democratica. D’altronde, fatti salvi i princìpi Costituzionali, c’è da giurare che nessuno “Yankee” sia incline a vedere il proprio Paese trasformato in un novello Emirato Arabo d’Oltreoceano… Agli increduli Repubblicani tanta “manna” piovuta d’improvviso dal cielo in un sol colpo, non dev’essere sembrata vera. E ciò, senza che nessuno di loro s’illuda di vincere a mani basse, all’appuntamento di Novembre.

In merito ai fronti di guerra, è probabile che le scelte di “pacificazione” forzata e raccapezzata che vanno per la maggiore nello Studio Ovale, non portino i risultati preventivati. Se infatti, le posizioni di Obama hanno il sapore di uno scontro frontale ed ideologico con il concetto di “guerra preventiva” – tanto cara a Bush, Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz e ai rispettivi “interessi” – è indubbio che la “corsa” al ritiro delle truppe dalle zone di conflitto stia avvenendo in tempi troppo affrettati e senza aver considerato le conseguenze.

Il caso  dell’Iraq è indicativo. A distanza di diversi mesi dalle elezioni politiche, mentre a Baghdad manca un nuovo Governo capace di parlare univocamente nel nome di Sciiti, Sunniti e Curdi e mentre gli attentati terroristici continuano nel quotidiano massacro di civili inermi, Washington ha “tirato dritto” confermando la fine dell’operazione “Iraqi Freedom”. Un giochetto costato la vita ad oltre quattromila soldati dello “zio Sam” e a centinaia di migliaia di Iracheni e che di certo non ha portato alcuna garanzia in materia di sicurezza ai cittadini Statunitensi, né ha regalato una “democratica Democrazia all’occidentale” alle stirpi Mesopotamiche.

Insomma, “Mission accomplished” o meno, non è detto che l’opzione del ritiro possa far tornare a crescere l’approvazione popolare. Soprattutto quando l’incognita Al-Qaeda sia sempre dietro l’angolo, pronta a “riaccendere le polveri”…

Riguardo all’Afghanistan poi, la storia potrebbe ripetersi a breve scadenza: nel 2011. Anche in questo caso, il botta e risposta tra il Generale David Petraeus e Mr. Obama, circa i tempi della smobilitazione devono aver confuso parecchio le idee della gente. Come dire: Chi comanda cosa? E poi, se è vero che il “ritorno a casa” sia atteso da troppo tempo un po’ ovunque, da Fort Carson a Camp Lejeune, che ne sarà dei Talebani, di Osama Bin Laden, del Pakistan in fermento sul confine e del rischio di un nuovo, allucinante e indimenticabile 9/11, visti i magri progressi registrati sul campo di battaglia fino ad oggi?

In conclusione, per evitare che la scontata sconfitta alle elezioni di medio termine si trasformi nel punto di “non ritorno” nella corsa alle Presidenziali del 2012, è lecito attendersi un cambio di atteggiamento da parte del Presidente. E visto che solo gli sciocchi e i trapassati a miglior vita non cambino opinione e considerato che nonostante tutto, io confidi ancora in lui, se mi toccasse vestire i panni di suo Consigliere, non potrei che proporgli un cambio di strategia, che tenendo conto dei fatti, togliesse di mezzo qualche “paletto” conficcato a forza nei suoi piani politici di neo-Rivoluzionario del III Millennio. Evitare una curva non può voler dire “partire” per la tangente. E’ in gioco il sogno di un’America nuova e con esso, quello di mondo nuovo.

I libri di sono pieni delle rimembranze di uomini politici, soggiogati dal Potere, o annientati dai propri sogni, velleitari e un po’ folli. Chissà mai che questa, con qualche aggiustamento, non possa essere un’illuminata eccezione, che eviti alla Storia di cantare la triste sorte e non le lodi, dell’ennesima “lonely soul”

D.V.