Il “Punto d’Equilibrio” tra Domanda e Offerta. Pura Teoria o sterile Realtà?

“Lo studio dell’economia non sembra richiedere alcuna dote particolare in quantità inusitate. Si tratta dunque di una disciplina molto facile, a confronto delle branche più elevate della filosofia e delle scienze pure? Una disciplina molto facile nella quale solo pochi riescono a eccellere! Questo paradosso trova spiegazione, forse, nel fatto che un grande economista deve possedere una rara combinazione di doti: deve essere allo stesso tempo e in qualche misura matematico, storico, politico e filosofo; deve saper decifrare simboli e usare le parole; deve saper risalire dal particolare al generale e saper passare dall’astratto al concreto nelle stesso processo mentale; deve saper studiare il presente alla luce del passato, per gli scopi del futuro. Nessun aspetto della natura dell’uomo o delle istituzioni umane gli deve essere aliena: deve essere concentrato sugli obiettivi e disinteressato allo stesso tempo; distaccato e incorruttibile, come un artista, ma a volte anche terragno come un politico”. John Maynard Keynes

Alla luce delle considerazioni di un grande e stimato conoscitore della materia come Keynes, rimane poco da chiedersi su chi sia un Economista, quali siano le sue prerogative e i suoi compiti e su quali debbano essere invece, gli scopi del proprio impegno nell’ambito della Società”. 

Già, la Società. Personalmente, ritengo infatti che un Economista sia per prima cosa un osservatore delle cose del mondo e più nello specifico, di tutti i processi che ruotino attorno alla “vita comunitaria”. In effetti, se è banalmente ovvio che non vi sia Comunità là dove dove non vi sia vita, lo è parimenti, che là dove non vi sia Comunità, la vita risulti essere assai difficile o addirittura impossibile, come dimostrato da innumerevoli casi, nei tempi moderni.

Una Comunità, per nascere, crescere e prosperare (vivere, per l’appunto), non può prescindere dalla creazione di processi di convivenza politica e mercantile. Una Comunità insomma, oltre a doversi saper governare, non può fare a meno dal consumare le risorse naturali disponibili (magari senza cedere agli “eccessi predatori” di oggi).

Proprio dal concetto di Consumo prende forma e significato la definizione del Sistema Economico, qualunque esso sia, a partire dalla forma più arcaica: il baratto.

Tornando all’Economista, è evidente che a lui dovrebbe spettare, né più né meno, il compito di fornire “ricette” (più o meno buone, più o meno condivisibili, in base ai punti di vista) comunque utili al raggiungimento di un funzionamento accettabile del “meccanismo” – una sorta di “Sistema dei Sistemi” – che per sua natura tende ad un’insanabile instabilità di fondo.

Di fatto, l’Equilibrio del Sistema Economico non può essere raggiunto in alcun caso. In effetti, al suo interno – dove Consumo (o Domanda) e Produzione (o Offerta) s’intrecciano inestricabilmente – albergano troppe cause d’instabilità, tutte comunque legate ad un unico fattore preponderante: l’emotività umana. Sia sufficiente, al riguardo, considerare proprio i “sette miliardi di punti di vista” che vivono su questo Pianeta…

Tutti i “Governanti e Governatori” (d’accordo, quasi tutti) conoscono questa semplice Verità. Parlando di Sviluppo, di Crescita e di Lavoro sanno bene di dover accettare solo una “mezza soluzione”: quella che gli garantisca il raggiungimento del Potere, che non turbi troppo la coesione sociale al momento di dover amministrare la “Cosa Pubblica” e che dia ragione ad un grafico o a qualche impolverata statistica di comodo.

Le teorie economiche maturano grazie ad equazioni matematiche alquanto “standardizzate”, che partono sempre da ipotesi opinabili e lontane anni luce dalla pratica quotidiana e che non considerano a sufficienza la mutevolezza dei comportamenti delle persone, sia come singoli, sia come parte di un gruppo. E’ dunque evidente, che la pretesa di costruire sulla carta, un modello generale che valga in piccolo per quello particolare, un po’ come accade in Fisica, sia un’utopia tanto pretenziosa quanto fuorviante.

Il massimo che ci si possa aspettare da un Economista, è insomma la proposta di un insieme di aggiustamenti dai risultati tutt’altro che pacifici e senza dubbio da dimostrare, specie quando si consideri che anche anche i Professionisti del settore, in qualità di cittadini, di contribuenti e di elettori, finiscano per subire l’influenza, affatto sterile, delle proprie idee, delle proprie esperienze, deii propri pregiudizi e dei propri “credo”.

La Storia parla da sé. Teorie buone nella I Rivoluzione Industriale oggigiorno fanno sorridere, sia per la loro mancanza di egualitarismo, solidarietà, equità e giustizia sociale, sia per il fatto di basarsi sui concetti “interessatamente” menzogneri della Forza regolatrice del Mercato e del Laissez-faire (tanto cari ai paladini del Capitalismo “duro e puro” delle origini).

Allo stesso modo, Teorie nate sulle ceneri della guerra o in seguito all’opera prima dell’egoismo umano, messa in scena con il crollo delle Borse del 1929, pur apparendo interessanti e per un certo verso “illuminate” risultano oggi inapplicabili, non foss’altro che per i buchi di Bilancio che rendono ancor più amara l’agonia politica di troppi Stati Sovrani, dove un “abuso dei modelli” che consigliavano, in certe occasioni, un impegno diretto dei Governi in Economia, ha premiato a seconda dei casi il clientelismo, le lobbies e pochi oligarchi sempiterni (dopo tutto l’egoista è ingordo e “pigliatutto” in ogni dove, senza distinzione di sesso, razza, o religione).

Consci che i presupposti mutino costantemente sia in origine, sia, addirittura, in corso d’opera e che l’equilibrio sia solo un costrutto teorico, si giunge alla conclusione che non possa esistere alcuna analogia nei risultati.

L’Economia non è una scienza esatta e dinanzi ai drammatici eventi che, allo stato, preoccupano il mondo da ambo i lati dell’Oceano, si comprende che il più delle volte, al Vertice, abbiano preferito dimenticarlo per pura brama di Potere. Il bene di uno, o di pochi, ottenuto con il sacrificio del bene (e del futuro) di tutti gli altri.

L’Economia, in quanto materia di studio soggetta a continue revisioni, a ripensamenti e a repentini dietro-front, per poter fornire consigli utili e costruttivi, non dovrebbe prescindere dal considerare tra le proprie “variabili” la Moralità di chi ricopra incarichi di Governo, dei Burocrati, dei Tecnocrati (e giù, fino ad arrivare ai lacchè di turno) soppesandone in primis, il senso del Bene Comune che ne accompagni le scelte… 

Cosa, di fatto, impossibile!

Siamo stati cresciuti a “Pane e PIL”, fieri di sapere che Y= C+I+G+X. Siamo stati indotti a prostrarci a “Sua Maestà il Mercato”… Ecco perché è tanto difficile comprendere, ed accettare, che l’odierna deriva economica sia la conseguenza di uno ed un solo male: l’egoismo di massa imperante e impenitente che regna incontrastato e che giustifica la sperequazione sociale come male necessario per il benessere distorto che ne discende.

La Speculazione finanziaria, il “Panic selling” che affonda i titoli azionari, azzoppa l’impresa e allunga le code dei senza-lavoro sono solo delle limpide conseguenze dell’Economia Patologica (Micro o Macro poco interessa) che perseverano ad inculcarci ad arte, nelle aule universitarie.

Non esistono formule magiche. La soluzione dei problemi non sta nel Liberismo, non sta nella Globalizzazione sfrenata e dissennata e non sta in “più Mercato”.

Allorché anche l’ultimo dei Mercati sarà “crollato” e l’ultima delle “bolle” esplosa (quella Aurifera?), rimasti senza lavoro o pensione, avremo la triste certezza che il futuro non fosse nella Finanza, nel denaro che creava denaro con artifizi e raggiri e che l’aspirazione di assurgere tra gli eletti di Wall Street – magari grazie l’ultimo libro in materia di “Trading e Home Banking” – fosse solo una scialba e “connivente speranza”…  

Allora, chissà, torneremo forse a “guardare alla terra” che calpestiamo, come l’unico e solo bene di cui non poter fare davvero a meno… 

D’altronde, se “tutto scorre”, se “i cicli prima o poi si chiudono” e se “dopo ogni fine v’è sempre un nuovo principio”, non è da escludere che i ricchi di domani tornino ad essere latifondisti e redditieri possidenti di qualche bucolica tenuta fuori città… 

Che sia il caso di cambiare investimento?

D.V